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5 cose che ho imparato in 10 anni di Influencer Marketing

influencer marketing

Correggendo elaborati di un corso di formazione mi sono ritrovata a leggere che l’Influencer Marketing è una persona che parla per nome e per conto del brand a fronte di una fee, di un cambio merci, o semplicemente perché il prodotto o il servizio gli piace. Ecco se eliminassimo il fatto che è una persona, e dicessimo che è una strategia, un metodo o una tecnica di marketing che passa dalle persone, per arrivare alle persone, saremmo già a buon punto. Se poi aggiungessimo che l’unica parte che conta è che ciò di cui parla l’influencer gli piaccia davvero per essere credibile, ecco che potremmo aver appena trovato la definizione di influencer marketing che mi convince.

Dopo 10 anni di progetti, da Alfa Romeo a Durex, dalla Martini a IKEA, da Polaroid Eyewear a Get Your Liguria Experience posso dire di aver visto tutti o quasi i tipi di influencer e ho capito almeno 5 cose:

1. DIMMI DI COSA PARLI E TI DIRÒ…SE PUOI PARLARE DI ME

La prima regola che sembra scontata, ma spesso si dimentica, è che il modo in cui blogger, social star, opinion leader e Youtuber, raccontano la loro storia, che dovrà diventare la nostra storia, fa una enorme differenza.
La prima regola è proprio questa: ricordarsi sempre che la scelta non si basa esclusivamente sul fatto che l’influencer parli in generale di argomenti, luoghi, esperienze, che si avvicinano al mio progetto, piuttosto il modo in cui lo fa, le parole che usa, le immagini che utilizza, devono essere lo specchio del mio messaggio, a tal punto che leggendo dovremmo pensare così come chi leggerà, che sì sta parlando proprio di noi, e non solo per noi.

2. LE DIMENSIONI CONTANO

Credo sia giunto il momento di ridare dignità ai numeri. Sempre più di frequente sento dire che grandi numeri non corrispondono ad altrettanta qualità. Falso. Se sono numeri veri, se sono persone e non piccoli robot dislocati in india, contano eccome. Non solo. A quantità spesso corrisponde qualità, che significa raggiungere una audience più vasta con il messaggio corretto! Infine diciamoci la verità, non sempre l’obiettivo è trasmettere storie, heritage e valori. A volte un post con 2 milioni di impression è proprio il nostro obiettivo, quindi, sinceramente che cosa c’è di sbagliato nell’utilizzare un influencer che ha i numeri giusti, il prospect di riferimento cui sto puntando e il giusto mood per rappresentarmi, anche se non scrive utilizzando i canti della Divina Commedia?

3. INFLUENCER È CHI L’INFLUENCER FA

La parola che più amo dell’influencer marketing è in realtà un concetto: RELATABLE. Significa riconducibile, riferibile, assimilabile. Il nostro influencer dovrebbe essere riconducibile a noi. Siamo nell’era dei micro e macro influencer, con in mezzo tutti gli opinion leader del caso. Ho visto progetti di pubblica amministrazione trovare nel salumiere del quartiere il proprio influencer. Una buona Social Media Strategy, un buon progetto di comunicazione hanno poi portato quello storytelling nel digital e lo hanno reso virale. Ma ho visto anche influencer con numeri strabilianti non ottenere nulla perché per il mio obiettivo, per le mie buyer personas, era solo uno coi numeri o una che fa foto molto belle, ma non era il MIO o la MIA influencer.

4. L’OBIETTIVO FA L’INFLUENCER

Se consideriamo corretto il punto 3 è vero anche che la scelta parte dall’obiettivo. Questo significa tornare al punto 2 e scegliere i nostri influencer sulla base di quello che sono e possono rappresentare per noi, non perché sono influencer in quanto tali e quindi possono parlare per noi raggiungendo una vastissima audience… È di qualche giorno fa un articolo de l’Inkiesta che mette a confronto Mauro Aresu, che insegna su – una parola al giorno – le figure retoriche, e Chiara Ferragni: secondo il giornalista il primo è encomiabile perché contribuisce a far conoscere la lingua italiana gratis, la seconda invece deprecabile  perché si fa pagare per fare ADV attraverso i social senza avere nulla da dire. Ora, io mi chiedo perché l’uno esclude l’altra? È come dire che i Rolling Stones meritano il palco, Sfera Ebbasta invece, che per me non ha nulla da dire, è ingiusto che riempia gli stadi. Purtroppo non è così, perché ci saranno sempre entrambi e starà a te decidere quale fa al caso tuo e quale puoi serenamente continuare ad ignorare.

5. ANCHE GLI INFLUENCER SI FANNO INFLUENZARE

Ora…è vero che gli influencer devono essere retribuiti in modo equo e consono, che i progetti vanno costruiti con una strategia che prevede il coinvolgimento attraverso la professionalità, le skill, e tutto il resto, ma il vero obiettivo e far innamorare i vostri influencer del progetto che gli state proponendo. Coccolateli, raccontate la vostra storia, e fategli vivere davvero una esperienza. Non si tratta più di fare buone PR, ma di fare PR in modo nuovo, dove P sta per PEOPLE e R sta per RELATIONS.

E DOPO CHE SUCCEDE?

Succede che capisci che gli influencer non sono un premio, non sono una proprietà, né tantomeno una sorta di campagna ADV fatta di persone che parlano di te.  Si creano reti, relazioni, contatti che nel tempo non saranno più solo reti di influenza ma persone straordinarie con le quali avrai condiviso un pezzetto del tuo percorso professionale. Quando sei molto fortunata, alcuni diventano anche tuoi amici, comunque vada, saranno le persone cui hai chiesto anche solo per qualche ora, di essere il tuo team.

 

Cecilia Pedroni

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Cecilia, Creative Director di Happy Minds, è consulente, formatrice e strategist nell’ambito della comunicazione digitale. Si occupa di ideare e coordinare progetti di digital marketing con particolare attenzione a social media, editoria digitale, influencer marketing e digital PR.

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