GenZ: la Homeland Generation. 1000 piattaforme per ammaliarli e 8 secondi per conquistarli
8 secondi.
Non è il nome di un nuovo social network o di un nuovo servizio di streaming online, ma il tempo massimo che la generazione Z, anche conosciuta come IGen – con un chiaro riferimento alla iperconnessione che la contraddistingue – dedica a un contenuto per decidere se la interessa, se è il caso di passare al successivo o proseguire e approfondire.
Sono intraprendenti, sicuri e spesso individualisti; molto più realisti dei Millennials e cresciuti dalla generazione X con la consapevolezza che per ottenere quello che vuoi c’è un solo modo: te stesso. Si relazionano mediamente con 5 screen al giorno e non fanno alcuna distinzione tra i device con i quali vivono la loro “digital life”.
Se per i Millennials l’ansia principale consiste nella realizzazione dei propri sogni, in una accezione quasi romantica e romanzata, per la generazione Z l’autoaffermazione passa attraverso la trasformazione, le transizioni e la capacità di adattarsi al contesto, e l’unica ansia manifesta è quella della FOMO ovvero “fear of missing out” letteralmente la paura di essere tagliati fuori, spesso scatenata – a detta loro – dalla costante affermazione degli adulti che li circondano che le nuove generazioni sono perse, senza valori e con un futuro incerto.
Fino ad oggi è stato facile immedesimarmi nella generazione al centro della rivoluzione tecnologica e del linguaggio, non un target ma spesso “IL” target principale, i Millennials, facendone parte. Siamo quelli che hanno imparato a usare i social mentre nascevano, che hanno scoperto la mobile communication con il primo smartphone prodotto…
Oggi non siamo più noi il centro, e chi come me deve comunicare con la generazione Z per lavoro, si trova ad avere tutte le coordinate per ottenere il massimo dallo scambio, cioè intercettare l’utente sin dal punto cruciale, lo ZMOT, ovvero Zero moment of truth, quello in cui da una ricerca generica e non ancora orientata al prodotto o alla marca, possiamo iniziare il funnel di conversione di un utente in cliente e il suo customer journey verso di noi.
Forse per convincerci che abbiamo torto, e non sono né senza valori né incerti, i nuovi utenti ci stanno lanciando messaggi chiari e forti su come comunicare con loro e come quel viaggio vorrebbero intraprenderlo.
I linguaggi e le piattaforme cambiano, la strategia e il buon senso restano.
Hanno valori liberali, l’89% esige un trattamento uguale tra i sessi e l’equal pay, il 64% ha amici di differenti religioni, il 63% dà lo stesso valore alle unioni LGBT che porta loro alle linee di abbigliamento “agender”. il 60% vuole cambiare il mondo.
Se prima c’erano “solo” Facebook, Twitter, Youtube e Instagram, oggi dobbiamo dialogare con una audience che utilizza WhatsApp, Snapchat, Tik Tok, Twitch, 21 buttons, e molti altri. Cosa significa? Significa comprenderne le logiche, il funzionamento e il potenziale, ma senza dimenticare che la strategia, se è buona, andrà declinata sugli strumenti e pensata anche per quelli più nuovi, ma resta il cuore di un buon progetto di comunicazione a marketing.
I brand prendono posizione… e gli utenti li seguono.
È il titolo di una slide che uso da qualche anno in aula. Le nuove generazioni vogliono coerenza, vogliono che i valori che gli raccontiamo siano anche vissuti e possano diventare parte della loro esperienza quotidiana. Fanno scuola campagne e progetti come quelli di IKEA, che negli anni si è sempre schierata per ciò in cui crede, di Mentos per il Pride – two of the same is beautiful – che gioca sul fatto che le caramelle sono sempre a due a due, uguali nel pack – la campagna del Sorrento Pride che da voce non più soltanto al mondo LGBTQ ma a tutte le forme di diversità e di inclusione sociale, o ancora il progetto di aziende come OWAY, che non diffonde soltanto un approccio plastic free grazie all’eliminazione della plastica dai loro packaging, ma si impegna in modo diretto nella pulizia della plastica partecipando ad ITACÀ Festival del Turismo Responsabile come Main Partner, e organizzando giornate di pulizia per dipendenti, dealer e saloni. Ma non finisce qui, ha anche creato il suo kit di pulizia “Tirami sù” fatto di pinze, sacchi e pettorine per la raccolta rifiuti. Come dire, approcci molto distanti dalle prime esperienze di pink e green washing degli anni 2000.
We hope every kid #GrowingUpGay know that two of the same is beautiful. pic.twitter.com/jClmlB5vAr
— Mentos (@Mentos) July 15, 2015
Il pianeta è il nostro loro futuro, e ha bisogno di tutti noi.
Dalle prese di posizione che diventano azioni concrete, per arrivare ad un disegno di medio lungo periodo, che parte dall’oggi, ovvero da Greta Thunberg all’impegno per le cause più importanti del nostro pianeta. Perché che ci piaccia o no il modello Greta, o le t-shirt di Stranger Things, le adolescenti di oggi si fanno le trecce e usano i suoi slogan sui loro diari digitali e non; questo significa fare i conti con una generazione che non trova i propri idoli solo tra musicisti, attori e sportivi, ma si sente rappresentata e, soprattutto, attratta da modelli che si impegnano per cause che non riguardano l’individuo ma una collettività, perché hanno capito che senza la collettività e senza un posto in cui vivere e vivere bene l’individuo non può emergere, affermarsi o realizzarsi.
School strike week 51. Greetings from SMILE in Lausanne, Switzerland. #fridaysforfuture #climatestrike #schoolstrike4climate #smile
Pubblicato da Greta Thunberg su Venerdì 9 agosto 2019
Sì alla tecnologia ma l’equilibrio vita-lavoro viene prima di tutto
Se la generazione X ha fatto la rivoluzione per conquistare il diritto per noi – generazione Y o Millennials – di essere e fare ciò che più ci piace, ci ha anche fatto credere che il sogno Americano del “se vuoi puoi”, fosse realtà anche per noi, facendo di noi degli inguaribili idealisti romantici. Non serve gridare allo spoiler… mi pare evidente a tutti che la mia generazione è in bilico tra il non più e il non ancora, ma questi giovani, che hanno un disperato bisogno di essere guidati, non accettano gli slogan facili e sono attenti al craft feeling, ovvero all’esplorazione delle loro emozioni, ma con un particolare che si sintetizza bene nel concetto “If you date me you’re dating my friends”. condividono praticamente tutto e si confrontano nelle chat che vivono in tempo reale su scuola, amore, lavoro, tempo libero, e ovviamente su ciò che gli piace o meno. Non sono disposti a dedicare una intera vita al lavoro, ma a dare tutta la loro vita per un lavoro in cui si sentono realizzati, sanno di potersi mettere in gioco e perché no, guadagnare bene. In sintesi non sono disposti ad inseguire un sogno fine a se stesso, ma cercano di far coincidere il loro sogno con un progetto finanziario che con ricavi e profitti, permetta loro di fare esattamente ciò che vogliono.
E i brand in tutto ciò?
I brand devono fare tesoro della miriade di indicazioni e informazioni che la rete e il digitale grazie ai dati e alla analisi ci mettono oggi a disposizione, per comprendere meglio e creare e sviluppare progetti e strategie vincenti non per vendere di più ma per vendere meglio.
Così, forse, almeno la generazione Z capirà che il problema non sono i cookies che chiediamo di accettare, ma l’utilizzo che ne facciamo, ovvero che possiamo avere un cliente che non è solo soddisfatto ma che si sente davvero ascoltato, coccolato e parte del processo da prosumer per citare Toffler (the third wave), in cui cerchiamo di introdurlo da almeno un ventennio.
Ovvio che per essere parte di questo cambiamento, oggi, sia necessario capire i video di Tik Tok o saper giocare su Twitch; del resto, è anche vero che non credo sarò io a sviluppare il prossimo team su Twich (che vi invito a scoprire se ancora non conoscete questa piattaforma) con cui gareggiare per i nostri clienti, ma le nostre Happy-GenZ-Minds.
Io sarò quella che ordina il menù proposto durante la partita – e acquistabile solo in quel preciso momento – che avrò iniziato a vedere sul mio pc, per poi riprenderla dal mio iPad, e finirò di godermi prima di andare a dormire dal mio smartphone.
PS. Lo so lo so non fa bene guardare lo schermo prima di dormire, quindi non sgridatemi, giuro che per l’80% dei casi leggo bellissimi libri… sono pur sempre una Millenials 😉
Cecilia Pedroni
* Dati e riferimenti tratti da:
– sondaggio della Varkey Foundation Febbraio 2019
– Ralph Moore, professore di economia alla McGill University di Montreal studio pubblicato su Psychology Today 02/2019
– Claire Madden, ricercatrice ed autrice del best seller Hello Gen Z: Engaging the Generation of Post-Millennials
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