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Alla ricerca del Purpose

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Per tutti questo è il momento dei bilanci. Personali, professionali, aziendali. Ci sono tante voci da valutare e il nostro sorriso si allarga di fronte al segno +.
Più fatturato, più guadagni, più progetti, più clienti e più relazioni.
Allo stesso tempo riflettiamo su CHE COSA abbiamo fatto, su COME lo abbiamo fatto e i più bravi di noi valutano anche DOVE sono arrivati e meglio ancora dove stanno andando.
C’è però una domanda che molti di noi evitano accuratamente. E non certo perché non siamo abbastanza intelligenti da sapere che invece dovremmo farcela e avere anche una risposta. La domanda più difficile, e che evitiamo o rimandiamo, inizia con PERCHÉ.

Perché stiamo facendo tutto quello che abbiamo elencato?
Perché esiste la nostra azienda?
Perché la mattina ci alziamo e andiamo a fare il nostro lavoro?

La risposta non è soldi, e neppure profitti anche se per onestà va detto che la risposta giusta può portare più soldi e profitti.
La risposta giusta dove si trova? Non per fare gli spiritosi ma la risposta si trova (anche) dentro noi stessi e questo è un raro caso in cui se si trova, è davvero quella giusta 😊
Definire perché facciamo il nostro lavoro è il primo passo per capire il vero scopo del nostro impegno, cioè il nostro PURPOSE.

“Ah sì ne abbiamo già sentito parlare, non è per caso la quinta o sesta P del Kotler?”

Non so se è già diventata l’ennesima P, ma sul rischio che questo concetto/metodo coniato da Joey Reiman nel 2013 con il suo libro “The Story of Purpose” possa diventare l’ennesima buzz-word per riempire le slide dei guru di marketing più trendy del momento, ne ha parlato Paolo Iabichino nell’articolo No purpose, no party pubblicato su Medium. (ps. Leggetelo subito!)

A me interessa invece parlare con voi di quanto sarebbe importante integrare nel bilancio di fine anno e nella to do list dei buoni propositi per il 2020 una bella riflessione su come trovare il proprio PURPOSE.
Sì perché riflettere sul perché esistiamo, su quali valori ci guidano, su quale “linea” non siamo disposti a oltrepassare, su che valore diamo ai nostri valori non è un problema che si devono porre solo i grandi brand e le grandi imprese che hanno un impatto su miliardi di consumatori. È una riflessione che dobbiamo fare tutti, perché ognuno nel suo piccolo ha un impatto sul mondo e ognuno ha la possibilità di rendere il mondo un posto migliore dove vivere.

Vediamo un po’ come iniziare il percorso per trovare il nostro purpose.

Il primo passo è definire quali sono i valori che hanno valore.

Il purpose si nutre di valori. Attenzione, non di carte dei valori scopiazzate dai siti dei competitor. Non di elenchi vuoti dove parole come qualità, inclusione, integrità si affastellano una all’altra senza alcuna corrispondenza con la pratica. I valori per avere davvero valore devono essere pertinenti, specifici, autentici e soprattutto devono essere VISSUTI. Voi vivete i valori che dichiarate? I vostri valori sono influenti? Sono gli stessi in cui credono i vostri collaboratori? Attenzione: qui ci giochiamo una parte fondamentale del nostro purpose, cioè la possibilità che esso diventi un impegno condiviso e non solo individuale. Inoltre i valori sono parte integrante del linguaggio di un’azienda e se anche voi come me vi occupate di comunicazione… beh, capite che stiamo trattando un aspetto molto delicato.

Il secondo passo è seguire la regola del Be-Do-Say.

Non vale capovolgere l’ordine. Lo scopo che ci diamo deve riflettere quello che siamo, quello in cui crediamo, i nostri valori. E i nostri valori non possono essere dichiarazioni di intenti o promesse per il futuro. Il purpose per essere tale deve attingere dal passato, deve coniugarsi nel presente, deve impegnarsi per il futuro e deve farlo in modo veritiero, credibile, rilevante e visibile. Per questo la regola parla chiaro: sii quello che credi, fai quello in cui credi tutti i giorni e solo alla fine dillo a tutti.

Il terzo passo è metterci il cuore, non solo la testa.

“Usa il cervello!” Quante volte ce lo siamo sentiti dire a lavoro, dai colleghi, da un capo, o lo abbiamo detto a nostra volta? E quante volte a lavoro ci è stato detto “usa il cuore”? Il lavoro è una cosa seria e come tale richiede testa, impegno, cervello, razionalità, freddezza, concentrazione, velocità, azione, strategia, tattica. Certamente serve tutto. Ma un purpose in grado di costruire un business che va oltre il business, che guarda oltre il profitto, che vuole aggiungere valore alla vita delle persone ha bisogno anche del cuore e di tutto ciò che lo accompagna. Ha bisogno di calore, creatività, compassione, empatia, gioia, divertimento, gioco, risate, compagnia, unione. In altre parole ha bisogno di umanità.

Il quarto passo è capire che il purpose non è una scelta ma un dovere.

Lavoro nel mondo dell’impresa e del marketing da vent’anni esatti. Dal 1999 ho studiato, vissuto, letto, metabolizzato i fondamenti della cultura di impresa. Sono abituata a interrogarmi e riflettere su visione, mission e valori di impresa e a lavorarci con i clienti. Ma sento che oggi la cultura d’impresa, l’insieme di convinzioni comuni e condivise all’interno dell’azienda, i valori in cui si crede hanno assunto una rilevanza ancora più grande. Essere, fare e dichiarare il proprio purpose non è più un’opzione possibile ma un dovere verso l’umanità intera. Significa decidere che impegno si vuole assumere. Da che parte si vuole stare. Significa scegliere se si vuole giocare dalla parte di quelli che hanno a cuore un interesse ampio, un bene universale, oppure quelli che giocano per sé stessi e che saranno felici di aver vinto sconfiggendo gli altri.
Noi di Happy Minds nei prossimi giorni lavoreremo molto su questi quattro passi alla ricerca e conferma del nostro purpose. E anche il bilancio 2019 e i propositi per il 2020 saranno frutto dell’impegno e della collaborazione fra i nostri cuori e le nostre menti felici.

Per approfondire

  1. Joey Reiman, Purpose, Vallardi Editore 2019
  2. Simon Sinek How Great leader Inspire Action, Ted Talk 
  3. Da Nike a IKEA, le declinazioni del Purpose, Giampaolo Colletti, IlSole24ore
  4. The Nike Purpose 

 

Lidia Marongiu

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Written by:

Lidia, CEO & Founder di Happy Minds, è formatrice e consulente di marketing e comunicazione dal 1999, specializzata in progetti di marketing turistico e territoriale con esperienze in diverse regioni d’Italia. Audit, ricerca e analisi, benchmarking, business model, brand purpose, brand positioning, ecosistemi digitali, coaching e formazione sono le sue competenze specifiche.

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